inviato da Guido De Marco – Il Disegno di legge sulla scuola del governo, recentemente approvato dalla Camera, stravolge radicalmente la natura della scuola italiana. Ovviamente, contiene alcuni aspetti positivi che tuttavia non attenuano il disastro che si sta prefigurando. L’approvazione dei vari articoli del DDL è proseguita nonostante uno sciopero che ha avuto una percentuale d’adesione altissima, nonostante la richiesta di tutti, proprio tutti, i sindacati e le forze politiche d’opposizione, di riconsiderarne almeno i contenuti più sconcertanti. Alcuni degli aspetti più importanti della controriforma sono inoltre delegati completamente al governo, che potrà modificare senza alcuna discussione parlamentare il Testo Unico sulla scuola (art. 22), che prevede, ad esempio, alla lettera i) del comma 2, “la definizione dei criteri e delle modalità di selezione, destinazione e permanenza in sede del personale docente e amministrativo” così come “la revisione del trattamento economico del personale docente e amministrativo”. Il DDL, senza alcuna seria consultazione sindacale, stabilisce inoltre che “le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi contrastanti con quanto previsto dalla presente legge sono inefficaci” (art. 23, comma 5).
Non sempre cambiare è sinonimo di migliorare, né tantomeno decidere è sinonimo di decidere per il meglio. La protesta del mondo della scuola non è fondata su pregiudizi. Abbiamo mantenuto un atteggiamento costruttivo. Nonostante migliaia di documenti critici e proposte, il pessimo testo del governo introduce forti elementi di mercato nella scuola, modificandola in modo profondo, con effetti perversi che ne snatureranno il ruolo di luogo privilegiato per la crescita culturale e di cittadinanza degli studenti.
Invece di aprire la trattativa sul Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto scuola, bloccato da sette anni, questo governo propone di distribuire un premio ad una ristretta cerchia di “meritevoli”; il Dirigente scolastico potrà elargire ai docenti un “bonus” in denaro (art. 13), secondo i criteri stabiliti da un Comitato di valutazione dei docenti (negli Istituti superiori il Comitato sarà costituito da due docenti e dai rappresentanti dei genitori e degli studenti). Saranno costituiti albi territoriali per la mobilità dei docenti, compresi quelli di ruolo, ed i Dirigenti potranno selezionare con chiamata diretta i presunti docenti “più bravi” con un curriculum compatibile con la loro idea di scuola, dando incarichi di “durata triennale rinnovabili” (art. 9, commi 2 e 3). I Dirigenti potranno inoltre scegliere i propri collaboratori fino ad un massimo del 10% del numero di docenti in organico nella scuola (art. 9, comma 6). Questa controriforma, invece di rafforzare l’attività collegiale dei docenti, promuove le figure dei colleghi-rivali.
I soldi per la scuola sono sempre stati pochi ed oggi il governo cerca un modo per ridurre il numero dei destinatari del premio con la scusa della valutazione. Come se nel sistema sanitario nazionale si decidesse di differenziare le retribuzioni dei medici, o degli infermieri, a parità di lavoro, oppure si attribuissero gli stipendi ai parlamentari sulla base di un giudizio sulla qualità dell’attività svolta. Ma la logica mercantilistica davvero premia sempre i “migliori”? Davvero produce risultati positivi? Oppure favorisce i più furbi e conformisti? Se si ritiene che ci siano docenti non adatti a svolgere il proprio ruolo, allora questi docenti devono essere riqualificati, oppure devono essere allontanati dalla scuola. In realtà, alcuni casi limite (che possono essere presenti in ogni ambito lavorativo) sono oggi presi a pretesto per introdurre un controllo generalizzato sulla libertà di insegnamento (tutelata invece dall’art. 33 della Costituzione) attraverso gli strumenti del premio e della chiamata diretta del Dirigente.
Che senso ha valutare i docenti singolarmente quando il lavoro che svolgono è collegiale? Lo stesso docente ottiene risultati diversi nella stessa classe, per non dire dei risultati ottenuti in classi diverse con Consigli di classe diversi. In realtà, lo stesso riferimento ai “migliori” docenti è fuorviante perché, se si vuole migliorare la qualità dei processi formativi, è necessario ripartire dalle competenze diversificate dei docenti. La valutazione è una questione seria e dovrebbe avere una finalità ben diversa rispetto a quella proposta dal governo. Occorre controllare i processi formativi per individuare le migliori metodologie, le migliori pratiche, gli standard minimi, i percorsi più favorevoli alla crescita culturale degli studenti. In quest’ottica, non è il modello competitivo dei colleghi-rivali, introdotto di fatto dal DDL, che può garantire la collaborazione e la condivisione delle prestazioni migliori; soltanto un approccio cooperativo, largamente diffuso in Italia, può far leva sul valore dell’esempio e del sostegno. Questo approccio va riconosciuto e potenziato. Più che individuare i migliori docenti si dovrebbero individuare le pratiche migliori, da usare come riferimento per la condivisione ed il progressivo miglioramento della media delle prestazioni. Non è vero che nella scuola c’è una resistenza generalizzata all’introduzione di un sistema di valutazione, esistono innumerevoli proposte alternative a quelle avanzate dal governo.
Quali saranno le valutazioni del Presidente della Repubblica sui finanziamenti a favore delle scuole private previsti dal governo? Il dettato costituzionale sulla scuola privata, tuttora vigente, è aggirato con un banale contorcimento linguistico. La scuola privata oggi farebbe parte di un “sistema nazionale di istruzione” e consentirebbe addirittura una “riduzione” dei costi, perchè lo Stato non sarebbe in grado di garantire un’offerta adeguata. Si ritiene legittimo offrire la possibilità di ottenere benefici fiscali nella dichiarazione dei redditi (credito d’imposta al 65% per il biennio 2015 – 2016 e del 50% per 2017) a chi farà donazioni in denaro per le scuole statali e per le scuole private paritarie (art. 17). Nella Costituzione leggiamo che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 33). Questa è una frase che non ammette fraintendimenti, eppure i governi che si sono susseguiti finora continuano a farsi beffe di quanto scritto sulla Carta. Cosa dovremmo insegnare ai nostri studenti, ai nostri figli?
Il governo ha già detto che intende riproporre il 5 per mille destinato alle scuole, che di fatto contribuirà a creare istituti di serie A e di serie B. Quali studenti usufruiranno dei docenti “migliori” e delle scuole più finanziate? Fino a prova contraria, noi riteniamo che la scuola dovrebbe contribuire a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 della Costituzione). Vogliamo modificare davvero la Costituzione materiale del Paese?
Chiediamo di essere ascoltati. Chiediamo più risorse economiche ed un sistema di valutazione finalizzato a valorizzare il contributo di ognuno di noi. Chiediamo di stralciare l’assunzione dei precari separandola dalla riforma vera e propria, per superare il rischio di uno scambio dal tenore ricattatorio (riforma in cambio di assunzioni).
La scuola è, assieme alla sanità ed al sistema pensionistico, uno dei cardini dello stato sociale moderno e sappiamo bene che non è una guerra tra poveri che potrà risollevare le sorti del nostro Paese. Non chiediamo di sottrarre risorse da altri comparti per destinarli alla scuola. I soldi ci sono. Purtroppo anche questo governo rimane subalterno alla logica che destina migliaia di miliardi di euro alle banche a tassi irrisori mentre contemporaneamente chiede tagli della spesa pubblica. Dobbiamo invece capire che la mancata crescita, la disoccupazione, il degrado sociale, sono proprio il risultato di un’adesione indiscriminata alla logica del mercato. Se continueremo lungo questa deriva il nostro futuro sarà segnato dalla distruzione progressiva dello stato sociale.